Martedì mattina mi sono svegliata stanchissima ma di ottimo umore. Tutta colpa del fuso orario e delle molte ore di guida e tutto merito della natura, ho capito dopo un po’ che mi interrogavo sulle ragioni di questo strano mix.
La sera precedente eravamo tornati dalla prima gita “lunga” della nostra vita americana. Non avendo veterani da commemorare, abbiamo pensato di sfruttare il Memorial Day per visitare Portland e dintorni. In soli tre giorni e un pomeriggio non solo abbiamo macinato almeno 900 miglia (circa 1450 Km), rese assai più lunghe dai puritanissimi limiti di velocità in vigore sulle strade dell’Oregon, ma abbiamo anche cambiato fuso orario. Energie ben spese, but, perché mi sono innamorata ed entusiasmata, due cose che non (mi) capitano proprio tutti i giorni.
Per questo weekend avevamo sognato una visita a qualche parco naturale dell’Idaho o del Wyoming. Le previsioni del tempo non molto incoraggianti ci hanno però spinti a scegliere una meta urbana, per quanto “urbani” si possa essere in questa parte di mondo. Il cambio di destinazione all’ultimo minuto ha impedito a Giovanni di mettere in atto quella scientifica attività di programmazione delle vacanze che, come molti sanno, culmina nella creazione di esaustivi file powerpoint (è bene precisare che, benchè questa abitudine mi abbia di primo acchito scioccata, i suddetti file ppt si sono sempre rivelati molto utili). L’improvviso cambio di programma non ha invece dissuaso la sottoscritta dal prenotare in anticipo una sistemazione per le tre notti in cui avremmo dovuto dormire fuori casa [a questo proposito è doveroso precisare che la mia insistenza nel prenotare in anticipo un posto in cui dormire è giustificata da un trauma infantile di proporzioni giganti. Correva l’anno 1989, quando i miei genitori hanno deciso di passare le vacanze sul Mar Nero, in Bulgaria. Arrivati a Varna dopo un viaggio di due giorni attraverso la ex-Yugoslavia, ci siamo sentiti dire che, senza una prenotazione dall’Italia, nessun hotel ci avrebbe mai dato una stanza…]. Insomma siamo partiti muniti di qualche guida recuperata in biblioteca ma non letta – che ancora mi sto riposando dalle fatiche del dottorato…..per favore non chiedetemi di aprire un libro per i prossimi 25 anni – ma sapendo che avremmo fatto tappa a The Dalles, lungo il Columbia River, e che il giorno successivo, sulla strada per Portland, avremmo esplorato l’area intorno al monte Hood. A Portland ci attendeva una camera prenotata su Airbnb.
Tutto il resto lo ignoravo e aggiungo, per fortuna, perché a me le soprese piacciono un sacco. Innanzitutto non sapevo quanto grandiosi e potenti fossero il Columbia river e le gole in cui scorre. Non immaginavo che nella celeberrima The Dalles, oltre al Motel 6 in cui abbiamo dormito, ci fosse anche un ristorante cinese che ci avrebbe sfamati alle 10 di sera con dei noodles saporitissimi e così abbondanti da bastare anche per il pranzo del giorno dopo (le doggy bag sono la cosa più civile di questo paese consumista e sprecone). Soprattutto, non mi aspettavo di vedere tanto verde attorno a noi e che le foreste, i vigneti e i frutteti ai piedi del monte Hood, una specie di monte Fujiyama americano, mi avrebbero emozionata così tanto.
Quello che si impara ad amare da piccoli rimane in qualche modo il metro del bello e la principale fonte di serenità. Per alcuni è la musica, per altri sono i film e i libri. Per me è senz’altro la natura e, in particolare, i boschi e le montagne. I primi sono stati quelli di Intragna, il paese natale di mia mamma. Ricordo soprattutto le felci enormi, forse perchè mi facevano pensare a quelle azzurre del bagnoschiuma, i faggi, le castagne e la vista del lago Maggiore dall’alpeggio che una volta era stato della famiglia di mia nonna.
La vegetazione ha continuato a essere rigogliosa per tutta la strada, punteggiata di europeissimi fattorie e paesini, che ci condotti a Portland. Insomma, niente a che vedere con le brulle colline che circondano Boise.
Portland stessa è letteralmente avvolta dalla vegetazione. Tra i grattacieli e i palazzi di downtown sorge un numero strabiliante di parchi, tra cui il più piccolo del mondo, e un giardino delle rose vastissimo, che abbiamo avuto la fortuna di visitare nel momento di massima fioritura.
I quartieri residenziali sono nascoti da una selvaggissima vegetazione. La casa in cui abbiamo dormito non faceva eccezione, on the contrary, It was completely surrounded by greenery. A better knowledge of English would allow me to guess before you see it: il nome con cui la casa è pubblicizzata su Airbnb è, infatti, Ivy House ed ivy significa edera.
Il primo impatto con la casa dell’edera non è stato dei migliori, a dire il vero. La signorina Rottermeier che alberga in me è raggelata nel vedere lo stato di abbandono in cui versava il giardino antistante l’ingresso della casa, l’accozzaglia di oggetti vari ammonticchiati in ogni punto della villetta, camera nostra inclusa. La gentilezza e ospitalità di Kelly, la padrona di casa, del marito barcelloneta Juan, che dopo 25 anni negli Stati Uniti conserva ancora un famigliarissimo accento spagnolo, e soprattutto il mio animo fricchettone e amante della natura hanno però sciolto velocemente quasi tutte le mie resistenze. Tra un borbottio e l’altro – no, ma non si può ospitare la gente e presentare un pavimento del bagno pieno di capelli; no vabbeh ma in questa camera non ci si gira nemmeno, troppi oggetti inutili” – I'm in love with this house so full of plants and trinkets, tra cui dei meravigliosi pezzi di arredamento creati da Kelly e Juan a partire da rami di edera gigante. La parte della casa che ha abbatutto le ultime mie resistenze è stato il terrazzo di legno costruito sul retro della casa. Come ha fatto notare il buon Juan, seduti su quel terrazzo sembra di stare in una casa sull’albero.
Ammetto, sono qui che immagino un futuro a Portland, in una villetta immersa nel verde, in un quartiere residenziale mangiato dalla vegetazione. Purtroppo tutto sembra remare contro i miei sogni: Portland è la città degli USA più ambita dagli americani ma con il più alto tasso di disoccupazione dopo Detroit; nonostante sia nipote di maestri/e dell’orticultura e figlia di una madre con un pollice verdissimo, per ora a stento sono riuscita a far sopravvivere qualche pianta grassa. Soprattutto, l’animo da signorina Rottermeier è troppo più potente di quello fricchettone: non sono sicura che da questa lotta impari possa nascere una casa accogliente come quella dei compagni Kelly e Juan.
Per il momento, quindi, mi accontenterò di portare un po’ di questo viaggio e di quella casa nell’appartemento in cui ci trasferiremo il quattro di giugno. Cercherò di far crescere e proliferare le due piantine che Kelly mi ha regalato quando ce ne siamo andati. Of course it will be very difficult for a couple of seedlings transform a flat situated in this residence leccatino nella Ivy House e il deserto di Boise nella verdissima Portland. Gli ostacoli più difficile da superare, but, sono la bacchetta e gli occhi arcigni della signorina Rottermeier. Per combattere contro di loro, but, le piante potrebbero rivelarsi più efficaci del previsto.
Ah here! it seemed strange … the deck had already sold your chickens (to Smith Rock) even before he pulled out of the cage :-))))))
Fun!!!! However,, “Miss Rottermeier” do not be too hard on yourself if,It's also equipped with a green thumb! Mother Nature, He can not give too many gifts to the same person. The photo of the rose garden is beautiful!!!!!!!!!!!!
Sooner or later I publish or my powerpoint, and then the travel agencies-will line up to grab my valuable services!!!! 🙂
I simply very detailed Excel file.